L’aula della Corte Costituzionale non è nuova a decisioni che riscrivono pezzi importanti della convivenza civile. Eppure, quella pronunciata in questi giorni segna un punto di svolta che va oltre il dato tecnico e si colloca in una sfera esistenziale precisa: quella delle famiglie formate da due madri e dai loro figli. Famiglie vere, presenti, spesso invisibili nel diritto, ma mai nella vita concreta.
Fino a ieri, il percorso per vedere riconosciuto il legame tra un bambino e la madre non biologica era incerto, faticoso, subordinato a iter giudiziari lunghi e logoranti, con esiti non sempre garantiti. Era necessario attivare una procedura di adozione in casi particolari, spesso vissuta come un passaggio umiliante, come se quell’amore e quella cura quotidiana dovessero essere dimostrati in tribunale anziché riconosciuti dallo Stato. Oggi, invece, è possibile registrare alla nascita, fin da subito, entrambe le madri. Il vincolo giuridico, quindi, coincide finalmente con la realtà affettiva e relazionale.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale accogliendo la richiesta presentata da Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+ e difesa in aula dall’avvocato Vincenzo Miri, che ha seguito negli anni numerosi casi legati al riconoscimento dei diritti delle famiglie omogenitoriali. La decisione è frutto di un lavoro giuridico meticoloso, costruito su basi solide e documentate, ma è anche il risultato di un ascolto costante delle persone direttamente coinvolte, delle loro storie, delle loro urgenze.
In aula, durante l’udienza del 26 febbraio, sono state portate testimonianze, sentenze precedenti, pareri tecnici. Ma soprattutto sono stati portati i vissuti di chi ha dovuto spiegare ai figli perché, davanti alla legge, avevano un solo genitore. Di chi si è vista negare il diritto di prendere decisioni sanitarie urgenti. Di chi non poteva viaggiare serenamente all’estero con i propri bambini perché priva della documentazione necessaria. Di chi ha temuto, ogni giorno, che un evento improvviso potesse spezzare l’unità familiare, lasciando un bambino senza una madre.
Mario Colamarino, presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli e portavoce del Roma Pride, ha sottolineato come questa sentenza rappresenti un passaggio storico e ha rivolto un ringraziamento pubblico all’associazione Rete Lenford, che da anni lavora in prima linea per il riconoscimento dei diritti LGBTI+ nel nostro Paese. Il loro contributo, ha detto, è stato determinante non solo sotto il profilo tecnico, ma anche umano, perché ha saputo dare voce e dignità a storie troppo spesso marginalizzate.
Non si tratta, infatti, solo di una vittoria legale. È il riconoscimento di una verità quotidiana, di una genitorialità esercitata ogni giorno con attenzione, dedizione e responsabilità. È il passaggio da un diritto da conquistare a un diritto garantito. E questo cambia radicalmente lo scenario anche per i bambini: per la prima volta, è la loro condizione a essere messa al centro, il loro diritto a crescere in sicurezza e continuità affettiva, senza dover attendere sentenze o provvedimenti per vedere riconosciuto il legame con entrambe le figure genitoriali.
La decisione della Corte arriva in un periodo di profondo dibattito sul ruolo della genitorialità e sulla definizione stessa di famiglia, in un contesto culturale e politico in cui la rappresentazione delle famiglie omogenitoriali è ancora oggetto di scontro ideologico. Ma questa sentenza sposta il piano della discussione: non è più una questione di opinioni o preferenze, bensì di diritti fondamentali, quelli sanciti dalla Costituzione, che ha tra i suoi principi l’eguaglianza di fronte alla legge e la tutela dei minori.
La narrazione pubblica ha spesso deformato il tema, riducendolo a slogan, semplificazioni, quando non a dichiarazioni aggressive e infondate. In realtà, le famiglie omogenitoriali esistono, vivono accanto a noi, mandano i figli a scuola, affrontano le difficoltà quotidiane con le stesse preoccupazioni, aspettative e desideri di qualunque altra famiglia. E la legge ha il dovere di riconoscerle e proteggerle, non di negarle.
In molti comuni italiani, sindaci e ufficiali di stato civile hanno già avviato pratiche inclusive, registrando alla nascita i figli delle coppie omogenitoriali. Altri si sono fermati di fronte all’incertezza normativa o, peggio, a pressioni politiche e ideologiche. La sentenza della Corte Costituzionale ora offre un orientamento chiaro e inequivocabile. Riconosce che il legame genitoriale può e deve essere attestato giuridicamente fin dalla nascita, senza mediazioni o deroghe, perché è proprio in quel momento che si fonda la relazione tra figlio e genitore, ed è lì che deve essere tutelata.
Naturalmente, questo non chiude tutte le questioni aperte. Resta urgente, per esempio, l’adozione di una legge organica che regoli in modo compiuto la filiazione nelle coppie dello stesso sesso, che chiarisca procedure, responsabilità e diritti, e che metta al riparo da interpretazioni difformi o da eventuali passi indietro in ambito politico. Ma la direzione è tracciata, e lo è grazie alla perseveranza di chi ha continuato a credere nella possibilità di un diritto più equo.
La storia della giurisprudenza costituzionale è fatta anche di sentenze che non si limitano a regolare, ma indicano, che non solo correggono storture, ma aprono strade. E quella di oggi dice chiaramente che ogni bambino ha diritto a essere riconosciuto da entrambe le sue madri, che la sua famiglia merita di essere vista, tutelata, nominata per quella che è. Non una concessione, non una deroga, ma un principio di uguaglianza.
Sulla soglia del diritto, quindi, entrano finalmente tutte quelle storie che finora sono rimaste fuori: madri che si svegliano la notte per controllare la febbre, che accompagnano a scuola, che firmano per le gite, che consolano, che tengono insieme pezzi di vita. E figli che ora sanno di avere un riconoscimento pieno, ufficiale, alla pari. Un documento che, per una volta, non è solo un atto burocratico, ma una dichiarazione di esistenza. Di presenza. Di dignità.