Scrivere non è mai stato semplice, soprattutto quando non sai neanche bene cosa provi, quando ti sembra di sprofondare in un buco nero che non ha pareti, senza riuscire ad aggrapparti a niente. È stata Katy a dirmi: scrivi, non rimanere lì a rimuginare senza dire nulla, butta fuori quello che hai dentro perché altrimenti ci resti sepolta. E forse ha ragione, anche se all’inizio non volevo, perché quando ti senti ferita e umiliata l’ultima cosa che hai voglia di fare è ripassare tutto a parole. Poi però ti rendi conto che se non lo scrivi, resta dentro e ti scava più a fondo, come l’acqua che lentamente buca la pietra. Allora eccomi qui, davanti a questo schermo, a cercare di dare un nome a quello che sento, a mettere in fila pensieri che non hanno nessuna voglia di stare ordinati.
Quello che provo somiglia a una miscela tossica di delusione e rabbia, e ci metterei pure un pizzico di vergogna, perché mi sento pure scema a cascarci ogni volta, a dare tutta me stessa alle persone che considero amiche e poi ritrovarmi con le ossa rotte, come se avessi fatto un incidente. L’ho già detto tante volte, lo so, ma io alle amicizie ci credo, ci credo come a una famiglia scelta, come a uno spazio in cui puoi abbassare la guardia e dire: va bene così, questa persona mi vuole bene davvero. E invece no. Quest’anno è stato una specie di campo minato: uno dopo l’altro, piccoli e grandi tradimenti, esclusioni improvvise, atteggiamenti meschini, e alla fine ti ritrovi che ti chiedi se sei tu quella sbagliata o se semplicemente il mondo là fuori è diventato una giungla in cui sopravvive chi sa manipolare meglio.
La ciliegina sulla torta, che poi tanto ciliegina non è stata ma una bomba, è arrivata qualche giorno fa, quando l’ex amico, quello di cui ho già scritto fin troppe volte, si è presentato davanti casa mia per “chiarire”. Nove mesi di silenzio, nove mesi a far finta che non esisto, nove mesi in cui ero passata da “amica fidata” a “quella che rompe il gruppo”, e poi di punto in bianco si sveglia e vuole parlarmi. “Chiarire de che?”, gli ho detto subito in faccia, perché dopo tutto quel tempo mi pareva già ridicolo. Però, come al solito, la mia parte gentile ha preso il sopravvento e l’ho ascoltato. Gli ho detto pure che capivo il suo punto di vista, che potevo persino accettare la sua versione dei fatti, ma che no, io in quel gruppo non ci voglio tornare. Non dopo che mi hanno isolata solo perché ero stata l’unica a dirgli in faccia: “oh bro, ma ti rendi conto della cazzata che stai facendo?”. Perché è sempre così, nessuno parla, tutti annuiscono, tutti si mettono al sicuro, e l’unica cretina che apre bocca per dire la verità finisce fuori dal giro.
All’inizio pensavo: pazienza, se riguarda solo me, chi se ne frega, non è la prima volta che mi tagliano fuori e ho imparato a sopravvivere. Ma quando hanno tirato dentro Katy, quando la sua compagna si è permessa di accusarla senza motivo, allora sì che ho perso la pazienza. Non accetto che tocchino le persone che amo. Non accetto che la loro meschinità ricada su chi non c’entra niente. Perché alla fine è così che fanno i manipolatori: se la prendono con i più gentili, li fanno passare per colpevoli e intanto recitano la parte delle vittime. E tu resti lì a chiederti come sia possibile che la gente non veda, che tutti stiano a guardare senza dire una parola.
E la cosa assurda è che prima di arrivare a questo punto, io e Katy per loro ci siamo fatte in quattro. Favore dopo favore, senza mai chiedere nulla in cambio. Dalla babysitterata il 24 dicembre, tutto il giorno, mentre io avevo da preparare il cenone della vigilia e la testa piena di altre mille cose, al prendermi cura dei loro cani quando erano in vacanza, all’aiutarli nei loro mercati. Sempre presenti, sempre disponibili, sempre con un sorriso. E alla fine? Nemmeno un grazie. Anzi, ti ritrovi pure con la reputazione rovinata. Come fai a non restarci male? Come fai a non pensare che l’essere umano, a volte, è un opportunista che ti sfrutta finché gli servi e poi ti butta via come un paio di scarpe troppo consumate?
Ecco perché adesso non mi fido più. Mi guardo intorno e vedo solo gente pronta a usare e poi mollare, e ogni volta che provo a darmi una spiegazione mi sento sempre più schifata. Forse ho idealizzato troppo, forse ho preteso troppo. O forse ho solo sbagliato a credere nella bontà delle persone. Sta di fatto che adesso ho voglia di chiudermi, di starmene da sola e dedicarmi alle mie cose. Le storie che scrivo, i podcast, i progetti che almeno dipendono da me e non dall’umore di qualcuno che un giorno ti adora e quello dopo ti cancella. Sarà una forma di autoprotezione, lo so bene. Ma almeno qui so come funziona: metto giù parole, creo mondi, invento personaggi, e se sbaglio o se non funziona me la prendo con me stessa, non con chi mi ha pugnalato alle spalle.
Cosa provo quindi? Provo un misto di amarezza e sollievo, se vogliamo. Amarezza perché ogni volta ci casco, perché continuo a sperare che esistano amicizie sincere, e invece mi ritrovo sempre con le stesse cicatrici. Sollievo perché almeno adesso so di che pasta sono fatti, e posso smettere di farmi illusioni. So che mi sto proteggendo, che mi rifugio in quello che scrivo perché lì non corro rischi, perché lì so come va a finire. Non è perfetto, non lo sarà mai, ma per ora mi basta. Mi basta per stare a galla, per sentirmi ancora viva.
La buona notizia, però, è che fisicamente sto meglio. Dopo settimane complicate la voce è tornata, e con lei anche i podcast. Ho ricominciato a registrare e domani uscirà uno short dedicato ad Agatha Harkness, mentre la prossima settimana arriverà un vero e proprio “level up” di qualità audio, perché riceverò finalmente un microfono da competizione. Piccole gioie che aiutano a rimettere insieme i pezzi, a guardare avanti e a non fermarsi sempre sul negativo.
E a questo punto ti chiedo, sì proprio a te che stai leggendo: c’è qualche tematica particolare che ti piacerebbe leggere o ascoltare? Una serie, un film, o qualsiasi altra cosa legata al mondo delle lelle che senti mancare e vorresti trovare qui? Perché questo spazio vive anche di chi lo attraversa, e sapere cosa ti interessa davvero potrebbe rendere questo percorso meno solitario e molto più ricco.
E ora basta filosofare, che già ci penso troppo da sola. Vai, scrivi nei commenti o fammi sapere che magari la prossima volta ci metto pure una tua risata dentro. E daje.