Oggi ho barato. L’ho fatto platealmente, senza sensi di colpa. Con le mani unte e l’alito che sa di formaggio stantio e peperoncino. Mi sono infilata in bocca quelle maledette patatine piccanti che avevo promesso a me stessa di evitare come la peste, e mentre lo facevo mi dicevo: me lo merito. Punto.
In fondo, non sono mica un robot. Sono una persona. Di carne, ossa e javascript. Perché è così che si è aperta la mia giornata: con un modulo javascript tanto elegante quanto bastardo da gestire, che mi ha fatto sudare sette tastiere e mezza. Il bello è che nel mio contratto c’è scritto chiaramente che dovrei occuparmi solo di webmastering. “Solo”, dicevano. Tipo metti a posto due tag title e torna a casa. E invece, appena serve uno che mastica un po’ di codice, ecco che spuntano le richieste come funghi a novembre. E io, che ho la sindrome della brava bambina (ma pure un mutuo morale con la mia coscienza), dico sempre di sì.
Morale: modulo finito, dignità a pezzi. E un bisogno viscerale di qualcosa di unto per placare la fatica di una giornata iniziata storta e continuata pure peggio.
Nel pomeriggio ho anche fatto un salto dalla psicologa. Ora, so che non è carino dirlo, ma a feeling non mi piace. Le racconto le cose e lei sembra sempre stare a qualche fermata più in là della mia corsa. Tipo che io sto a San Giovanni e lei è ancora a Termini. C’è quella sensazione che non ti capiscono, ma in modo gentile, quindi non glielo puoi nemmeno rinfacciare. E ti chiedi se sei tu che ti esprimi male o se lei sta facendo sudoku mentale mentre fingi di scavare nel tuo subconscio.
Dopo la seduta, che mi ha lasciata più scossa che rilassata, ho ripreso a lavorare sull’arborescenza del sito di cui mi occupo. Tranquilli, se non sapete cos’è un’arborescenza, vivete meglio. Una giungla digitale. Roba che Indiana Jones, in confronto, si è fatto una passeggiata all’Ikea. C’è così tanta roba dentro questo sito che forse ci vive dentro una famiglia di pipistrelli in remoto. Parliamo di tremila pagine. Forse di più. Non le ho contate, anche perché a un certo punto ho avuto paura di perdermi nel conteggio e finire a scrivere un trattato sulla tristezza delle sottopagine.
Ma tutto questo, in fondo, era ancora normale. Il colpo di scena è arrivato con un messaggio. Quello che non vuoi mai leggere.
Il padre di un nostro amico è morto. E già sarebbe una di quelle notizie che ti mozzano il fiato. Ma non è tutto. Si è tolto la vita. In un modo così brutale che scriverlo fa tremare le dita. Si è impiccato. Non ce l’ha fatta, nonostante fosse sempre quello con la battuta pronta e il sorriso che sembrava non avere nemmeno una piega. E invece.
Invece dentro covava qualcosa. Una voragine che nessuno aveva visto. O forse l’avevamo vista tutti, ma non avevamo saputo chiamarla col nome giusto.
È una mazzata. Di quelle che ti fanno sentire in colpa per ogni leggerezza, per ogni messaggio non mandato, per ogni volta che hai pensato: ma figurati, lui sta bene. Una finta serenità, che ti fa sentire scema quando scopri che era solo facciata. E allora ti siedi sul divano, con il sacchetto delle patatine tra le mani, e ti chiedi se ci capiamo mai davvero tra esseri umani. O se fingiamo tutti di continuo, con più o meno stile.
E quindi sì, le ho mangiate. Quelle maledette patatine. E forse ne mangerò pure un’altra manciata prima di prepararmi per il judo. Dove ovviamente mi pentirò amaramente, tra una rotolata e l’altra sul tatami. Ma oggi va così. Ho bisogno di sentire qualcosa che brucia sulla lingua, almeno quanto brucia nel petto.
Nel mezzo di tutto questo casino emotivo, però, c’è una notizia che un sorriso me lo strappa.
“Fine semestre con delitto” è ufficialmente online su Amazon Kindle. E lo dico con quella strana emozione che sta tra la soddisfazione e il panico. L’ho fatto. L’ho scritto. L’ho pubblicato. Senza troppe pretese, ma con tanta voglia di divertirmi. Non mi sento una scrittrice. Non è il mio mestiere. Ma avevo qualcosa da raccontare, e l’ho fatto. Ho impaginato, sistemato, battuto i piedi quando Word mi impazziva con i margini. E adesso eccolo lì. Pronto a essere letto, ignorato, odiato, amato. Chi lo sa.
Io, intanto, mi sono divertita molto. E già questo per me è un traguardo.
Ora mi tocca. Missione chignon, leggings e un po’ di crema idratante sul viso che dopo l’allenamento sembro uscita da una sauna finlandese. Vado a rotolarmi per terra con stile. E sudore.
Ci risentiamo presto. Forse. Se sopravvivo. Ma soprattutto, se non mi esplode lo chignon a metà allenamento.
Bye.