Scrivere con addosso il proprio nome non è sempre naturale. A volte è una conquista, a volte una scelta a tavolino, altre volte ancora un modo per proteggersi. Casa Lister nasce esattamente in questo spazio, quello a metà fra bisogno e desiderio, fra identità e narrazione. Non è un progetto nato all’improvviso, e neanche un’idea che inseguivo da anni. È piuttosto la forma che ha preso una serie di parole che non trovavano posto da nessuna parte.
Tutto è partito da un foglio aperto e chiuso cento volte. Un titolo scritto male, cancellato, poi riscritto peggio. Un elenco di cose che volevo raccontare e non sapevo dove mettere. Alcune erano personali, altre un po’ meno. Alcune erano scene immaginate in piena notte, altre cose dette davvero. E in mezzo ci stavo io, con quel solito bisogno di ordine, e quella voce che continua a chiedere: ma che stai facendo, esattamente?
Casa Lister è nata così, per esasperazione. Quando tutto ciò che fai inizia a sbriciolarsi in mille canali, mille formati, mille identità. Ho capito che non mi serviva un nuovo blog. Mi serviva un posto. E il posto ha preso la forma di uno spazio narrativo.
Lo so che suona più pretenzioso di quanto sia. Non si tratta di un grande manifesto, né di una mappa esistenziale. Si tratta di voce. Della mia voce, per iniziare. Ma poi, magari, anche di altre. Di quelle che mi passano vicino, di quelle che sento e risuonano, o che spaccano e restano.
Il nome Lister l’ho scelto molto tempo fa, quando ancora pensavo che avrei scritto con un altro pseudonimo, più neutro, più adatto, più qualunque. Poi è arrivata lei. Anne Lister. O meglio, la scoperta di lei, perché fino a quel momento l’avevo solo intravista nei margini di qualche saggio. Era una donna che scriveva. Ma non solo: scriveva se stessa, nella lingua che aveva, nei secoli che poteva. Era scomoda, diretta, piena di parole troppo precise per non urtare. In un tempo che non lasciava margine, lei lo scavava a forza di diario.
Non che io sia lei, eh. Ma qualcosa si è acceso, e da lì ho cominciato a firmare con quel cognome. Allison Lister, la voce dietro a una serie di storie che cercano di fare lo stesso: raccontare in modo disordinato, ma onesto. E nel raccontare, magari anche costruire qualcosa. Una casa, appunto.
Dentro Casa Lister ci finiscono tante cose. Le parole di ogni giorno, le frasi che lasciano il segno, gli appunti mentali che diventano incipit. I romanzi a cui lavoro, certo, ma anche le cose che scrivo e poi non so dove mettere. Le riflessioni che non stanno su Instagram, le cronache che non hanno un pubblico chiaro, i pensieri a voce alta. E poi i podcast, perché ultimamente ho ricominciato a usare la voce vera. E magari, chissà, anche la voce di altre persone.
Ci saranno pagine da leggere, cose da ascoltare, forse qualche piccolo esperimento. Il tono è sempre lo stesso: diretto, a volte ruvido, senza abbellimenti. Non per scelta stilistica, ma per necessità. Ho provato a scrivere “meglio”, in passato. A levigare, a comporre. Poi mi sono accorta che ogni volta che cercavo l’effetto, perdevo il senso.
Casa Lister serve a questo: a tenermi ferma mentre scrivo, e libera mentre creo. A ricordarmi che posso pubblicare anche senza un editore, che posso parlare anche se nessuno risponde, che posso esistere fuori da ogni algoritmo. Che ci sono spazi che hanno bisogno di nascere, anche se non sono redditizi, anche se non performano, anche se non portano like. Spazi che si aprono solo quando smetti di chiederti il perché.
Ecco. Se sei arrivata fin qui, forse anche tu avevi bisogno di uno spazio così.
Allora benvenuta. Questa è Casa Lister. E se vuoi dare una mano a tenerla viva, puoi offrirmi un caffè o unirti su Ko-fi.
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