Un caos degno di noi: Agatha e Rio sull’oceano atlantico

Le utime dal diario

La lella
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Lella fin da piccola, ho sempre seguito questo motto: "sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo". Credo che la sessualità e l’identità siano elementi soggettivi, tanto che qualsiasi regola non sarebbe mai quella perfetta. Nessuno di noi è solo una cosa e non esiste una definizione che possa andare bene sia per me che per te. A dire il vero, esiste un’etichetta in cui mi sento perfettamente a mio agio ed è proprio l’essere me stessa, perché è fatta su misura per me, racchiude tutto ciò che sono ed è pronta ad accogliere ciò che sarò.

L’Atlantico si stendeva come un abisso nero, gonfio di onde che sembravano voler inghiottire la nave in agonia. Il legno gemeva sotto la pressione dell’acqua e delle urla, inclinato, prossimo a spezzarsi. Ma Agatha Harkness non mostrava alcuna angoscia. Anzi, si godeva lo spettacolo, con lo sguardo rapito da quel disastro che ai suoi occhi aveva la perfezione di un dipinto. Il caos, orchestrato come una sinfonia, le scorreva addosso come un vino raro.

Tra la folla urlante e i corpi che si dibattevano, Rio apparve. Non come un’eroina pronta a salvare, ma come un’ombra calma, implacabile, che attraversava il tumulto senza esserne sfiorata. I suoi passi avevano la grazia di un fantasma che non teme nulla, e Agatha non poté fare a meno di sorridere. La scena era quasi comica: passeggeri che si aggrappavano a tavole e corde, pregando, piangendo, e Rio che avanzava come se stesse passeggiando in un giardino.

All’improvviso, le dita fredde di Rio si chiusero intorno alla gola di Agatha. Non fu solo un gesto di rabbia, ma qualcosa di più intimo, quasi un contatto rituale.
“Cosa pensi di fare qui, Agatha?” domandò, la voce ferma e tagliente come la lama di un coltello, ma intrisa di un divertimento sottile.

Agatha rise piano, senza scomporsi. “Sto solo ammirando il mio lavoro,” replicò, con un sorriso compiaciuto. Non c’era vergogna, non c’era maschera: solo la soddisfazione di chi assapora la tragedia. Sapeva che Rio non era lì per giudicare, ma per osservare, forse per capire ciò che nessun altro avrebbe mai colto.

Rio inclinò appena il capo, gli occhi scuri fissi nei suoi. “Perché l’hai fatto?”

Con un gesto svogliato, Agatha indicò il mare in tempesta, le sagome che affondavano nell’acqua gelida. “Hanno dimenticato i cubetti di ghiaccio nel mio drink,” disse, facendo spallucce. Il sarcasmo le sgorgava naturale, una corazza contro ogni rimprovero.

Rio strinse la presa, la sua voce un soffio di disprezzo. “Egoista come sempre. Ti diverte guardare queste persone morire?”

“Perché dovrei preoccuparmi?” ribatté Agatha, gli occhi che brillavano di crudeltà e compiacimento. “Non sono che pedine. Marionette nelle mani del destino. Guarda bene: questa è commedia pura.”

Un silenzio teso li avvolse, interrotto solo dagli scricchiolii della nave e dalle urla lontane. Per un istante, il volto di Rio si ammorbidì, come se quella brutalità le fosse familiare. Le labbra si piegarono in un sorriso che non era né dolce né crudele, ma entrambe le cose insieme.

“Amo questo caos tanto quanto te,” mormorò, tirandola più vicina. “È qui, tra le macerie, che risplendi davvero. È qui che la tua magia si mostra per quello che è.”

Il cuore di Agatha accelerò. Non era paura, ma eccitazione, un fuoco che ribolliva nelle vene. “E allora vieni, Rio,” sibilò, la voce che ardeva come brace. “Tuffiamoci insieme in questa anarchia.”

Le loro parole si persero nel fragore delle onde, intrecciate come un patto segreto. Per un istante, il mondo esterno – il gelo, i lamenti, la morte che serpeggiava ovunque — svanì. Restarono solo loro due, sospese in un silenzio assoluto.

E Agatha capì che il vero gioco non era con la nave o con le anime che la abitavano, ma con la Morte stessa, incarnata negli occhi di Rio.

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