25 novembre 2025
Oggi è una di quelle giornate in cui capisci che l’unica cosa che ti blocca sei tu. O meglio, la voce di tuo padre che ti ronza in testa come una mosca rompicoglioni che non se ne va mai.
Ne parlavo stamattina con Cristiano. Uno dei pochi che capisce veramente cosa significa avere delle “capacità” e una stima di sé ridotta a zero grazie a un genitore che ha passato anni a dirti che non sei abbastanza.
Il padre interiore (quello stronzo)
Cristiano me lo ha spiegato bene: “È come se continuassi a cercare approvazione… il consenso di mio padre.”
E io lo capisco, cazzo se lo capisco. Anche se il mio caso è diverso – mio padre sta a Roma, mia madre non c’è più – quella vocina nella testa ce l’abbiamo tutti. Quella che ti dice che non sei abbastanza bravo, che devi aspettare di essere “perfetto” prima di provare.
Spoiler: La perfezione non esiste. E se aspetti di essere perfetto, muori senza aver fatto un cazzo.
Gli ho mandato un vocale stamattina. Non potevo più stare zitta a guardarlo bloccarsi:
“Teso’, lo so. C’hai un sacco di competenze, ma stai lì bloccato per colpa di tuo padre. Ora capisco, so che gli vuoi bene e tutto quanto, per carità, ma a una certa… FANCULO. Buttale fuori le cose, non sta’ lì dietro a bloccarti.”
Perché è così, no? A 42 anni lui ancora si fa le pippe mentali su cosa direbbe suo padre. A 37 anni io mi sono fatta mille pippe per pubblicare il libro di mia madre, perché spesso lei parlava di lui.
Ma poi mi sono detta: io non gli devo un cazzo. E sono libera di fare quello che voglio.
La sindrome dell’impostore è una cagata
L’ho scritto anche sui social stamattina, prima che partisse questa conversazione:
“La sindrome dell’impostore è la cosa più inutile che puoi coltivare come autore indipendente. Ho 4 libri pubblicati. Oscillano tra le 3 e le 4 stelle su Amazon. Per anni ho pensato: ‘Non li promuovo perché non sono perfetti.’ Risultato? Zero visibilità. Zero crescita. Poi mi sono detta: ‘Fanculo. Basta paranoie.’ Non sarò mai Stephen King. Ma sto imparando. Libro dopo libro.”
E Cristiano mi ha risposto con una cosa che mi ha fatto incazzare e sorridere insieme:
“Sindrome dell’impostore… Già.”
Ecco, lui ce l’ha peggio di me. Molto peggio.
Mi ha raccontato che ultimamente il suo curriculum è finito in mano a un prof universitario pluripremiato. Gli ha fatto i complimenti.
Ma lui, cosa ha sentito nella sua testa? La voce di suo padre: “Sto curriculum è una merda, disagio, arricchisci e imbelletta per salvare la faccia.”
“Sono uno con del genio in testa,” mi ha scritto, “ed una stima di sé nullificata da suo padre.”
Madonna. Mi viene da piangere.
Buttarsi, anche se fa male
Gli ho detto tutto quello che penso. In un vocale lunghissimo che praticamente era una sfuriata d’amore:
“Io penso che questa sia l’età in cui bisogna dare tutto, perché poi, quando siamo vecchi, è finita. Cioè non è che sia finita perché si possono fare ancora un sacco di cose… però il momento cruciale è adesso. Non si può stare lì ad aspettare.”
“Mi sono comprata tutto il kit foto, video e tutto quanto… perché io non voglio più aspettare. Va a finire che vado a morire come mia madre a 50 anni e la cosa non è possibile. In questi dieci anni do il massimo.”
E gli ho detto la verità più brutale di tutte:
“Può succedere qualsiasi cosa. Anche che uno davanti non rispetta lo stop e succede un casino. Può succedere tutto e noi non possiamo stare lì a rimuginare a dire ‘eh ma se solo… se non ho le capacità o no…’ Sì, ce le hai le capacità. Tutti lo ammettono. La Pixel Art è fichissima. A scrivere, scrivi bene.”
Perché è così. Lo so che lui ha talento. L’ho visto. Ma lui non se lo permette.
E io? Io ho fatto judo senza averne il fisico e sono arrivata agli italiani con la nazionale. Ho cantato senza essere la Callas e sono arrivata in teatro. Ho pubblicato libri che “fanno schifo” secondo me, eppure vendo un pochino. Ho fatto videogiochi – il primo è andato malissimo, ma terzo mi ha fatto ricevere complimenti tipo “finalmente dei giochi horror fatti bene”.
Non è il talento che ti fa arrivare. È la forza di volontà.
Il paradosso del “viziato”
Cristiano mi ha fatto notare una cosa vera:
“Rispetto a te sono più ‘viziato’, ma mi sono accorto di come questo viziato ti autosabota dentro.”
Lui ha avuto i genitori vicini. Io no. E questo, paradossalmente, mi ha aiutato.
“Il paradosso vuole che tu hai sofferto tanto,” mi ha scritto, “ma il fatto che fossi da sola e sei stata anche costretta a fare le cose da sola, ti ha aiutato a crearti una sorta di indipendenza psicologica.”
Ha ragione. Io ho dovuto sbattere la testa contro il muro da sola. Ho dovuto imparare a rialzarmi da sola. E questo, alla fine, mi ha reso più libera.
Ma lui? Lui deve combattere contro aspettative, giudizi, voci nella testa che non se ne vanno mai.
Gli ho detto:
“Non devi chiedergli il consenso. Non sei manco obbligato a dire ‘guarda, faccio questo’. È una mezza verità, non gli dici nulla, tu provi, fai, e non è che devi rendere i conti. Se non lo dici, non succede nulla. Poi magari lo scoprono, diventi famoso, appari in tv, e dicono ‘ah, è mio figlio’.”
“Se non provi, non lo saprai mai.”
Il 7 dicembre: il mio primo vero salto
Tra qualche giorno, il 7 dicembre, farò il mio primo mercatino. Porterò i miei libri davanti alle persone. Fisicamente. Non più solo online, nascosta dietro uno schermo.
Porterò Un jour au supermarché e altri. Non faccio i nomi degli altri perché sono ancora sotto il mio vero nome, ma uno di quelli è il libro di poesie di mia madre.
Quel libro mi ha fatto stare male. Ci ho lavorato due anni, a spezzoni. Rivivere tutto quel dolore… mi ha fatto male. Ma non volevo che fosse dimenticata. Volevo che continuasse a vivere in un altro modo.
E sì, c’entrava anche mio padre in quelle poesie. Per questo avevo dubbi sulla pubblicazione. Ma alla fine… io non ho più legami con lui. Non è mai stato presente per me. E quella non è la mia storia, ma quella di mia madre.
Sono angosciata, ma anche eccitata. Perché questo è un primo passo vero.
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Alisa e il ricordo di mamma
Stamattina Alisa mi ha mandato un messaggio che mi ha fatto commuovere:
“Complimenti, Ally. Veramente, te lo dico con il cuore perché sei una gran donna, piena di passioni, piena di voglia di fare cose nuove, reinventarti ogni volta. Sei grandiosa.”
E poi ha aggiunto:
“Il ricordo di tua madre ce l’ho un po’ così… come se tu fossi lei oggi. Me la ricordo come una donna che non si fermava mai. E tu sei uguale. Penso che lei sia davvero fiera di te.”
Ho pianto. Perché è vero. Mamma non si fermava mai. E io sono fatta della stessa pasta.
E se lei ha smesso troppo presto, io non posso permettermi di fare lo stesso.
Allison: la nuova identità
Da oggi, nel blog, mi chiamo Allison.
È più coerente. È più me.
Perché questa non è solo una questione di nome. È una questione di identità autoriale. Di scegliere chi voglio essere, senza chiedere il permesso a nessuno.
Allison è quella che si butta. Che cade, si fa male, ma si rialza.
Allison è quella che non aspetta più di essere perfetta.
Allison è quella che dice fanculo alla sindrome dell’impostore e ai genitori nella testa.
La morale (se proprio ne serve una)
Cristiano mi ha scritto:
“Il fatto è che io non salto per paura di farmi male. C’è chi questa la chiama situazione di comfort, che bene o male sia, lo è, ma è più che altro una situazione di sicurezza che a volte diventa talmente stringente, talmente paranoica che… il paradosso è che il salto lo devi fare. Ci devi provare.”
Sì. Ci devi provare.
E io gli ho risposto con la filosofia del judo:
“Cadi, ti rialzi. Secondo me ci devi provare. Lo so che sarà male la prima volta, tanto finché non ci provi non lo saprai mai. E poi non ci si nasce imparati. Non è possibile. Il judo ti insegna a cascare e a rialzarti. E questa è una cosa essenziale. Non si può vivere senza fallimenti.”
Il 7 dicembre ci vediamo al mercatino. Se passate, venite a salutarmi.
Sono quella con i libri, l’ansia, e la voglia di farcela nonostante tutto.
Sono Allison.
E non chiedo più il permesso a nessuno.
P.S. – Cristiano, se leggi questo: fanculo a tuo padre (quello nella testa). Hai 42 anni. È ora di vivere per te. Ti voglio bene, teso’.