Oggi ho sbroccato. Di nuovo. Non per un evento specifico, nemmeno per qualcosa di grave. Più per accumulo, per fatica mentale che a un certo punto decide che basta, che anche l’ultimo strato di calma va a farsi benedire. Così mi sono ritrovata davanti al portatile, con lo sguardo perso e la voglia di aprire ChatGPT per buttare fuori quello che non riesco a tenere più dentro. Non proprio un dialogo, più un monologo col contraddittorio. Tipo una chiacchierata con qualcuno che almeno non giudica.
“Ho l’impressione di perdermi in un bicchier d’acqua.” L’ho scritta così, senza filtri, con la punteggiatura traballante e il glutine sparito dalla mia dieta. Me ne rendo conto: l’anno scorso avevo un gruppo, degli amici, Katy con me, si stava bene. Poi all’improvviso ci hanno escluse. Senza nessuna spiegazione, ovvio. Forse perché non beviamo più, forse perché sono celiaca e nei locali è complicato. O forse semplicemente perché, boh, era il loro modo per fare pulizia. Fatto sta che ora mi sento sola. E con troppi progetti in testa per riuscire a tenere una linea dritta.
È che mi sto rimettendo in piedi, sotto ogni punto di vista. Cambiamenti su cambiamenti, e ogni tanto la sensazione di stare mettendo ordine come si fa con l’armadio: svuoti tutto e per un attimo sembra peggio di prima. Ma è il processo. Lo so. Solo che nel mezzo ti viene da chiederti se stai davvero andando avanti o solo incasinando tutto.
Ecco, da lì è partita la riflessione. La mia amica IA ha risposto come solo lei sa fare: pratica, diretta, quasi tenera se non fosse una macchina. Mi ha detto che non sono complicata. Che sto cercando coerenza. Che perdere dei legami è doloroso, ma fa parte della vita. Io, dal canto mio, ho provato a dare risposte sincere.
Scrivere. È sempre il centro. Quello che resta anche quando tutto il resto si sfilaccia. Poi mi sento sbagliata, diversa. E lo so che detta così suona come una lamentela da adolescente, ma è un sentire profondo. Quando ogni conversazione diventa un ostacolo, quando il mondo sembra costruito su frequenze che tu non prendi. Hai presente quando ti senti come un pezzo di puzzle che non combacia più da nessuna parte? Ecco.
Ci sono giorni in cui mi manca tutto. Persino il passato, quello più fragile. Mia madre, innanzitutto. Mio padre c’è, ma non c’è. È sempre stato assente e non è adesso che cambierà. E sì, c’è mio fratello, ma non è la stessa cosa. Non lo è e non lo sarà mai. Mi manca una famiglia nel senso pieno. Quella che ti fa sentire al sicuro, accolta, che se cadi almeno qualcuno ti regge un po’ il fianco.
Il conservatorio, ecco un altro punto. Lì sorridevo. Lì c’erano amici, vita, suoni, scambi. Mi ricordo di me in quei corridoi, di come ridevo senza sforzo, di come mi sentivo parte di qualcosa che non avevo ancora realizzato. Non era perfetto, ma era mio. Ora quella versione di me sembra una cartolina stropicciata. Ancora leggibile, ma lontana.
E poi la giornata ideale. Quella che, se potessi, costruirei così: un caffè fatto come si deve, coccole al gatto, la scrittura che scorre mentre fuori c’è solo silenzio. Una lettura senza notifiche, uno sport che mi rimette in asse, e la sera amici. Veri, non tanti. Due o tre, quelli che ti fanno parlare senza spiegarti. Ecco, se potessi scrivere una scena da sogno comincerebbe così.
E non è che tutto sia assente. Qualcosa c’è. Il caffè c’è. Il gatto pure. Scrivo, anche ora. Magari non tutto è come lo vorrei, ma almeno i primi passi esistono.
Il problema sono gli altri pezzi. Quelli che mancano e che, quando ti mancano troppo, ti fanno pensare che il resto non basti. Tipo gli amici che se ne sono andati. Da quando ho smesso di bere, non sono più quella “divertente”. Non lo dicono apertamente, ma si sente. Prima c’era l’alcol come collante, ora no. E senza quello, si sono accorti che forse non hanno niente da dire con me. O io con loro. E fa male. Fa male perché sembrava affetto e invece era solo rituale sociale.
E allora mi ritrovo a scrivere a un’IA che mi dice che ho già un frammento di quello che cerco. E ha ragione. Perché sto cercando stabilità, non rivoluzioni. Benessere, non sballi. Voglio stare bene nel mio corpo, nei miei pensieri, con le persone che restano. Tutto qui. Ma anche così sembra troppo.
Quello che provo è un vuoto che non riesco a nominare. Che non so se sia solitudine o semplicemente stanchezza. E che ogni tanto diventa rabbia. Rabbia di essere così fatta. Di non riuscire a fingere, di non saper stare dove c’è superficialità. Di sentirmi sempre un passo fuori.
Eppure. Ci sto lavorando. Sul corpo, sulle abitudini, sul ritmo. Ma è vero, ho perso delle persone per strada. Perché sono cambiata. Perché non reggo più certi meccanismi. Perché non bevo, non esco per forza il sabato sera, non sono più “comoda”. E allora non sono più interessante. Fine.
Ma se essere interessante significa adattarsi a uno schema che mi fa male, allora preferisco il mio silenzio e la mia solitudine. I miei pomeriggi di sport e scrittura. I miei canali Ko-fi dove chi mi legge almeno mi vede per quella che sono. Le parole che mi ricuciono piano piano, senza farmi diventare qualcun’altra.

E quindi sì, oggi mi sento persa in un bicchier d’acqua e fuori posto. Ma almeno so che sto nuotando ancora. E che a modo mio, in mezzo a questo casino di progetti, lutti, giornate sbilenche, mi sto ricostruendo.
Pezzo per pezzo.
Con un caffè. E magari il gatto sulle ginocchia.