Honey Don’t! – Aubrey Plaza, Margaret Qualley e un trailer che ribalta le regole del pulp

Le utime dal diario

La lella
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Lella fin da piccola, ho sempre seguito questo motto: "sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo". Credo che la sessualità e l’identità siano elementi soggettivi, tanto che qualsiasi regola non sarebbe mai quella perfetta. Nessuno di noi è solo una cosa e non esiste una definizione che possa andare bene sia per me che per te. A dire il vero, esiste un’etichetta in cui mi sento perfettamente a mio agio ed è proprio l’essere me stessa, perché è fatta su misura per me, racchiude tutto ciò che sono ed è pronta ad accogliere ciò che sarò.

Sono usciti due minuti e mezzo di immagini, e già bastano a far parlare mezzo internet. Honey Don’t! arriva sul grande schermo come un oggetto non identificato, e non serve nemmeno leggere le note di produzione per capirlo: basta guardare il trailer per accorgersi che qui non si tratta del solito film, che quello che ci aspetta non è un thriller da manuale, ma un gioco continuo di rovesciamenti, di parodie travestite da pulp, di atmosfere che flirtano con il ridicolo senza mai abbandonare l’eleganza di fondo.

Il racconto parte subito con la presentazione dei personaggi principali, ed è evidente che la regia non ha alcuna intenzione di seguire i canoni classici, perché invece di concedere spazio a un protagonista maschile rassicurante e lineare, lascia il palcoscenico ad Aubrey Plaza e Margaret Qualley, che si guardano, si sfiorano, si annusano a distanza, come se bastasse un gesto minimo per accendere una miccia che corre sotto tutta la trama.

honey don't

La prima inquadratura che cattura l’attenzione è quella di Aubrey Plaza: si muove in modo calcolato, lo sguardo diretto verso Margaret Qualley, e c’è quell’ambiguità tipica della sua recitazione, a metà tra la seduzione e la provocazione assurda, che sembra sempre pronta a esplodere in ironia. Non è un semplice incontro di sguardi, ma l’annuncio silenzioso di una dinamica che attraverserà ogni scena, fatta di attrazione trattenuta e sospetto reciproco, di alleanze temporanee che possono trasformarsi in tradimento con un battito di ciglia. Il trailer suggerisce che il loro rapporto sarà il vero motore nascosto della storia, non un dettaglio di contorno, e che tutta la tensione narrativa si giocherà attorno a questo filo instabile che lega e separa le due donne.

Margaret Qualley entra in scena subito dopo in un contesto completamente diverso: la vediamo attraversare, con i suoi tacchi alti e un passo sicuro, quella che sembra essere la scena di un crimine. La macchina da presa insiste sul contrasto: la sua figura elegante che si staglia contro l’ambiente sporco, caotico, disordinato, come se l’ordine perfetto della sua apparenza fosse un corpo estraneo in un paesaggio dominato dalla violenza. Ed è proprio in questa collisione tra glamour e caos che il film sembra trovare la sua cifra, un pulp che non rinuncia mai all’ironia, che mescola sangue e luci al neon, ironia tagliente e sguardi sofisticati. Non c’è mai armonia, e forse è questa la chiave: l’instabilità costante.

honey don't

Il montaggio del trailer, rapido ma non caotico, suggerisce che Aubrey Plaza e Margaret Qualley non saranno comparse di lusso in un film centrato su Chris Evans, ma poli narrativi autonomi, capaci di muovere la trama attraverso battute affilate, gesti ambigui e alleanze improvvise. La regia li mette in primo piano, ne amplifica ogni micro-espressione, come a dire che è lì che bisogna guardare, che la vera storia non è quella scritta nei dossier della polizia o nei rapporti d’indagine, ma quella che scorre sotto pelle (no, non uso questa formula, ma il senso è chiaro: il non detto, quello che vibra appena dietro lo sguardo).

E poi arriva Chris Evans. L’ingresso è costruito con la solennità tipica di chi dovrebbe rappresentare il punto fermo della trama: un uomo incaricato di rimettere ordine, di dare senso agli eventi, di guidare l’investigazione. Eppure, fin dalle prime immagini, c’è qualcosa che stona, perché il suo personaggio appare come trascinato dentro un vortice che non riesce a dominare. Invece di essere il regista della vicenda, sembra diventare una pedina nel gioco più grande che corre tra Plaza e Qualley, come se la sua funzione fosse quella di inseguire, osservare e tentare invano di decifrare il loro linguaggio fatto di seduzioni, manipolazioni e mezze verità. Il tono è volutamente grottesco, i gesti un po’ sopra le righe, e più le immagini scorrono più ti accorgi che qui nessuno è davvero affidabile, che persino l’inquadratura stessa sembra metterti in guardia: quello che stai vedendo non è mai quello che sembra.

Il risultato è un trailer che promette molto più di un semplice thriller. Honey Don’t! si presenta come una satira travestita da pulp, un film che prende i generi e li porta fino all’estremo per poi riderci sopra, senza mai rinunciare a un certo fascino visivo. La fotografia, i costumi, le scelte musicali creano un impasto che non punta al realismo ma alla costruzione di un universo a parte, un po’ fumettistico, un po’ teatrale, dove ogni dettaglio diventa un indizio e ogni esagerazione è lì per svelare la finzione.

E se la chimica tra Aubrey Plaza e Margaret Qualley manterrà le promesse che traspaiono da queste prime sequenze, allora potremmo trovarci di fronte a una delle coppie cinematografiche più memorabili degli ultimi anni. Magnetiche, imprevedibili, pericolose e irresistibili, con quella capacità di tenere lo spettatore sempre in bilico, senza mai offrirgli una direzione chiara.

Il 22 agosto il film arriverà al cinema, e a quel punto potremo capire se queste impressioni trovano conferma, se davvero il gioco costruito dal trailer regge anche in un lungometraggio intero, o se invece il film crollerà sotto il peso delle proprie ambizioni. Ma una cosa è certa: Honey Don’t! ha già conquistato l’attenzione, e non capita spesso che un trailer riesca a imporre un immaginario così netto, fatto di ironia, glamour e minaccia costante.

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