Maschere di fuga: Agatha e la verità nascosta

Le utime dal diario

La lella
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Lella fin da piccola, ho sempre seguito questo motto: "sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo". Credo che la sessualità e l’identità siano elementi soggettivi, tanto che qualsiasi regola non sarebbe mai quella perfetta. Nessuno di noi è solo una cosa e non esiste una definizione che possa andare bene sia per me che per te. A dire il vero, esiste un’etichetta in cui mi sento perfettamente a mio agio ed è proprio l’essere me stessa, perché è fatta su misura per me, racchiude tutto ciò che sono ed è pronta ad accogliere ciò che sarò.

Nel passaggio dalle montagne svizzere a Nashville, Agatha e Rio lasciano alle spalle il gelido rifugio alpino per spostarsi in una nuova fase della loro storia. Nashville, 1966, diventa una sorta di “teatro di fuga” per Agatha, un luogo dove assumere una nuova identità – quella di banchiera – e nascondersi dai demoni del suo passato. La loro permanenza nelle montagne non è stata sufficiente a farla affrontare le sue ferite: una verità che Rio sembra determinata a farle vedere.


Rio si aggira per la casa in cerca di Agatha, la cui ombra si scorge appena dietro la porta della camera.

“Agatha… ci sei?” chiede con una voce che tradisce preoccupazione. Dal silenzio della stanza, non riceve risposta, ma Rio non si arrende.

All’interno, Agatha stringe il suo vecchio orsacchiotto e chiude gli occhi, come se questo potesse bastare a tenere lontana Rio. Le labbra si muovono in una supplica silenziosa alla Madre Divina, sperando che Rio abbandoni la scena, che si arrenda e le conceda un attimo di pace. Ma la pace è qualcosa che Agatha ormai ha dimenticato da tempo.

Rio insiste: “Lo so che vuoi restare sola, ma non possiamo continuare così…”

“Se lo sai, allora perché sei ancora qui? Ho bisogno di… di silenzio.”

Agatha si rannicchia nel letto, cercando di farsi piccola come un ricordo, stringendo l’orsacchiotto contro il petto.

Rio fa un passo avanti, e la sua ombra si staglia contro la porta.

“Pensi davvero di poter dimenticare? Lasciare tutto alle spalle? Come se tutto quello che è successo fosse solo una parentesi?” La sua voce è velata da una punta di ironia, ma il cuore di Agatha risuona come se quelle parole fossero verità nascoste da troppo tempo.

Una lacrima cade dalla guancia di Agatha, bagnando la copertina del libro che giace accanto a lei. Lo sguardo di Rio cade su quel libro, e il suo tono diventa duro, affilato.

“Non puoi riportarlo indietro, Agatha. Esistono delle regole.”

Agatha scatta, stanca di quella persecuzione.

“Non ho mai detto di volerlo riportare indietro,” esclama, anche se la sua voce trema appena, tradendo ciò che ha tentato di nascondere.

Rio la guarda, il volto rigido.

“E allora tutte quelle morti? Il caos sulla strada, la tua congrega distrutta. O pensi che non abbia notato quel massacro?”

“Non ho mai detto di volerlo riportare indietro!” grida Agatha, ripetendo quelle parole come un mantra, come se potessero proteggerla dalla verità. Ma dentro di sé sa che, per un attimo, lo ha davvero desiderato.

La tensione esplode: Agatha, incapace di trattenere il potere violaceo che vibra dentro di lei, lancia un colpo di pura disperazione verso Rio, che si scansa in tempo per evitarlo. La sfera di energia colpisce invece il pavimento, trasformandolo in cenere un disegno che rappresentava tre figure stilizzate – Agatha, Nicholas e Rio. Agatha guarda le figure dissolversi, consumate dalle fiamme, e sussurra con un filo di voce: “Non capisci nulla, Rio. Non voglio essere quella che ero, né ricordare il giorno in cui ho desiderato di tornare indietro.”

Le spalle di Rio si rilassano leggermente, e abbassa il tono.

“Non è quello che ti chiedo. Ma scappare, costruirti una vita fasulla, non ti farà dimenticare. Non sarà mai una soluzione.”

Avanza ancora un passo, cercando il suo sguardo.

“Nicky è morto, Agatha. E finché ti nasconderai dietro una facciata, non sarai mai la donna che eri.”

Agatha alza lo sguardo, il viso teso da un dolore che non riesce a contenere.

“Mi senti, Rio? Il mio potere è la mia condanna. Questo… questa cosa mi sfugge, distrugge chiunque si avvicini.” Le parole si affievoliscono, la sua voce un sussurro. “Non capisci… tu chi ami, il mio potere o…”

“Sei tu, Agatha. Sei tu che amo. Sono qui per te, non per il tuo potere,” la interrompe Rio, senza alcuna esitazione.

Un brivido percorre Agatha, e in un istante alza il braccio, pronta a colpire. Ma una luce verde emerge dalle mani di Rio, bloccandola a mezz’aria. Agatha si agita, cercando di liberarsi, ma Rio è già accanto a lei, la forza calma ma inflessibile.

“Non ti lascerò andare finché non mi ascolti, Lady.”

“Non chiamarmi così,” sussurra Agatha, le lacrime che le rigano il volto, la voce piena di rabbia e dolore.

“È questo che vuoi, vero? Non sopporti più di vedere Agatha la banchiera, vuoi la vecchia Agatha, quella senza scrupoli, senza rimorsi.”

Con un gesto deciso, Rio le solleva il mento, obbligandola a guardare la sua immagine riflessa nello specchio.

“Guardati,” mormora Rio, mantenendo lo sguardo fermo. “Non preferivi essere il demone, quella senza limiti, senza vergogna? Quando non cercavi di controllarti, quando facevi a pezzi le vite altrui senza pensarci due volte. È quella che vuoi diventare di nuovo?”

Agatha scoppia a ridere, un riso amaro e spezzato.

“Vuoi solo che io sia una marionetta, una burattina che danza secondo i tuoi desideri.”

La voce è carica di sarcasmo, mentre il suo sguardo si incupisce.

“Ma non posso essere solo quello. Non posso vivere come un fantoccio per soddisfare i capricci di qualcun altro.”

Rio la guarda, senza abbassare lo sguardo.

“Non sei mai stata una marionetta per me. Eravamo entrambe pedine in un gioco più grande, vittime delle stesse tentazioni. Ma sei tu che sei sia tentata che… tentatrice.”

Agatha si avvicina, il volto ora così vicino a quello di Rio che le loro labbra si sfiorano.

“Lo sai quanto è facile, Rio? Lasciarsi andare, dimenticare tutto, trasformarsi in un mostro solo per avere un momento di pace.”

La voce è un sussurro velenoso, come una lama che affonda lentamente nella carne.

Ma Rio non cede. Con un movimento rapido e preciso, afferra Agatha per le spalle e la scaraventa contro il muro, il viso a pochi centimetri dal suo. Agatha sente il gelo del pavimento sotto di sé e la rabbia che le pulsa nelle vene. In un attimo di distrazione, un vecchio ritratto di Nicholas cade a terra, e Rio lo afferra appena in tempo per non farlo rompere. Si ferma, gli occhi che si ammorbidiscono per un istante mentre guarda l’immagine del bambino che entrambe hanno amato.

È in quel momento che Agatha, osservando la scena, coglie un barlume di vulnerabilità nel volto di Rio.

“È per lui, vero?” domanda Agatha, con una voce che tradisce un’inattesa compassione. “Non lo hai mai accettato, vero?”

Rio resta in silenzio, le dita che stringono il ritratto come un’ancora di salvezza. Una lacrima le scivola lungo il viso, e con un gesto incerto si siede accanto ad Agatha sul pavimento. “Non volevo lasciarlo andare, Agatha. Non posso perdere anche te,” confessa, le parole spezzate dal dolore.

Agatha abbassa lo sguardo, il cuore stretto in una morsa di emozioni contrastanti.

“Non posso darti quello che desideri, Rio. Nessuno può,” risponde con un tono che è quasi una supplica. Poi, con un gesto incerto, allunga le braccia, stringendo Rio in un abbraccio fragile, ma sincero. Per un attimo, nel silenzio della stanza, si percepisce solo il battito dei loro cuori.

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