Attacchi di panico

Le utime dal diario

La lella
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Lella fin da piccola, ho sempre seguito questo motto: "sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo". Credo che la sessualità e l’identità siano elementi soggettivi, tanto che qualsiasi regola non sarebbe mai quella perfetta. Nessuno di noi è solo una cosa e non esiste una definizione che possa andare bene sia per me che per te. A dire il vero, esiste un’etichetta in cui mi sento perfettamente a mio agio ed è proprio l’essere me stessa, perché è fatta su misura per me, racchiude tutto ciò che sono ed è pronta ad accogliere ciò che sarò.

Avete mai avuto degli attacchi di panico?

Non è una frase tabù…

Può succedere. E in qualunque modo.

Ora vi racconto.

Il mio primo attacco di panico fu nel 2010, tornando da un concerto dalla Cina. Non sapevo nemmeno cosa fosse un attacco di panico e quali fossero i sintomi.

Mio padre, tornata dall’aeroporto, mi disse:

Ti devo portare in un posto.

Non so come, i miei colleghi del coro avevano capito il suo sguardo. Io no.

Scendendo dall’auto di mio padre mi ritrovai in un ospedale.

Gelo.

Arrivata in una stanza al secondo piano vidi mia madre. Da sola. Con gli occhi chiusi. Ma ancora viva.

Non è cosciente, e le resta poco tempo da vivere.

Ed ecco il mio primo attacco di panico.

Il dolore.

L’angoscia.

La colpevolezza.

Mentre io “cantavo” allegramente in Cina, mia madre stava morendo.

Sono uscita dalla stanza cercando di realizzare cosa stesse succedendo e… boom. Non sento più nulla. Cado. Mi sento debole, senza forze.

Il dolore e l’angoscia che mi pervadono. Sicuramente il momento più brutto di tutta la mia esistenza.

Non sento più nulla, cado letteralmente per terra.

Una sensazione totalmente sconosciuta, come se anche io stessi morendo.

Dopo undici anni mi rendo conto che stavo semplicemente che stavo “morendo di dolore”. Letteralmente.

Mi attribuivo la colpa del suo cancro. Mi attribuivo la colpa di non aver saputo proteggerla.

Fra parentesi, due settimane fa ho visto una psicologa specializzata nei traumi familiari. Mi ha detto che non era il mio ruolo proteggerla. Ho capito perfettamente le sue parole, ma il mio cuore no… se fosse ancora qui, sarei pronta a rifarle da scudo. E so che era il ruolo della madre “proteggere sua figlia”. Ma ci siamo sempre protette a vicenda. Ricordo il suo braccio che si poneva davanti al mio corpo mentre frenava.

Sicuramente non ve ne rendete conto, ma ci sono stati trenta minuti di intervallo.

La mia “ex” mi ha chiamata dopo il mio messaggio per dirmi che facevamo natale insieme. Non voglio, è una finzione, sarà no. Ma tanto vuole che ne “discutiamo” questo weekend-end davanti ad una pizza e una bottiglia di vino rosso. La lascerò parlare ma non ho tanto da dire a parte che….. basta.

Cinque anni senza amore dovrebbero bastare.

Ritorniamo a noi.

Mia madre.

Ero letteralmente sotto shock. Cantavo recitando, recitavo cantando, ma non conoscevo ancora questo dolore.

Devo dire che da allora questo sentimento mi perseguita.

Il sentimento che possa andare tutto a rotoli.

Morgana.

Cassandra.

Ines.

Tutto… finisce.

E penso che il tutto sia iniziato, sfortunatamente, con Morgana. Che mi lasciò durante il funerale di mamma, scusandosi e dicendo che “amava gli uomini”.

Posso capire. Ma non in quel preciso momento… Porca miseria.

Ho pianto davanti a mio padre, frutto di tutti i miei tormenti e dolori. Mi ha consolata, ascoltata. E soprattutto, non aveva bevuto.

Era quello, il padre che avrei voluto. Ed è quello, il padre che amavo. Poi c’è stato “l’altro suo lato”.

Il secondo attacco di panico? E’ stato quando Cassandra mi ha lasciata. Da allora, si fanno sempre più frequenti.

Appena sento un dolore al cuore, qualcosa legato alla mia situazione sentimentale, o ad un animale che amo… beh i miei attacchi di panico ritornano.

Almeno so, adesso, a cosa assomigliano.

Tutto questo discorso è perché ho voluto dire stop al mio rapporto per la mille cinquecentesima volta. Non ha funzionato… ho inviato un messaggio, mi sono sentita male, e mi ha risposto “ne riparliamo”.

“Ne riparliamo??”. E’ da mesi che abbiamo discusso, e che invece di concludere la cosa… aspetto. Non c’è nulla. Casa mia è un “rifugio”. Ma resta una convivenza… da ben cinque anni.

E in quel preciso momento mi sono sentita male… perché mi sento utilizzata, sfruttata e non amata.

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