
Rieccomi in piscina. Un tuffo, e i pensieri si azzerano. È strano come certi cambiamenti si insinuino senza far rumore, e finisci per accorgertene solo dopo. Prima l’acqua mi infastidiva, mi sembrava ostile, adesso invece pare mi capisca. Mi culla, mi tiene ferma senza chiedermi niente. Mi leva di dosso una parte della rabbia che fingo di non avere. E sì, ormai l’hanno scoperta anche gli altri, e quindi mi tocca l’abbronzatura. Non che ne sia felice – mi sento un personaggio secondario di Peach Girl – ma del resto non posso restare in ombra tutta la vita. In Giappone essere abbronzate è roba da poco eleganti, da “non si fa”. Io, per quanto ci provi, al massimo divento dorata. Fine. Nemmeno il sole mi prende sul serio.
Questo mese è stato pieno di cambiamenti. Di quelli che non annunci, che non scrivi sull’agenda con il pennarello colorato. Cambiamenti di lavoro, di salute, di umore, di testa. Non in ordine di importanza. Mi ero creata una gabbia tutta mia quest’anno, comoda, imbottita. Un bel silenzio intorno, zero musica. Dicevo che la odiavo. Forse era vero. O forse era solo un modo per non sentirla. Ora la sto lasciando rientrare piano piano. Non con entusiasmo, ma con quel rispetto che si dà alle cose che ti hanno salvata almeno una volta.
Mi è arrivato un contratto da sette teatri francesi. Sette. Teatri. Europei. Forse è un caso. O forse è un regalo di mia madre. Che non c’è più ma continua, come sempre, a farmi arrivare segnali. Lei voleva che continuassi. Che non mollassi. E quando stavo per farlo, quando stavo per chiudere tutto e cambiare strada, è come se mi avesse sussurrato: “Nous chanterons toujours ensemble” (“Canteremo sempre insieme“).
Certo, il repertorio è cambiato. Anche la persona accanto a me è cambiata. Con Cassandra è finita. Un capitolo chiuso. Era un freno, un muro. Limitava, sminuiva, sbuffava quando invece avrebbe potuto ascoltare. Ora c’è qualcun altra. Una persona nuova, pulita, senza la pretesa di dovermi aggiustare. Mi tira fuori il meglio senza neanche farlo apposta. E io? Sto imparando a non usare le relazioni come stampella. A non infilarmi in legami dove l’unica cosa che mi viene bene è svuotarmi. Sto provando a contare su di me. Non per forza con eroismo, eh. Ma con una certa fermezza.
So di non poter avere una vita “normale”. Ma mi chiedo anche se davvero ne voglia una. Perché a stare dentro questo vortice di cambiamenti non si sta poi così male, se smetti di combatterlo e impari a respirare.
Alla fine è questo, no? Non si tratta di fare la voce forte. Si tratta di restare lì, in mezzo a tutto, e capire che stai andando da qualche parte anche quando pensi di essere ferma.
Un approfondimento interessante su come i cambiamenti influenzano la nostra percezione del tempo è su State of Mind – utile, anche se non dice tutto.