Estratto dal diario di una lesbica

Le utime dal diario

La lella
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Lella fin da piccola, ho sempre seguito questo motto: "sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo". Credo che la sessualità e l’identità siano elementi soggettivi, tanto che qualsiasi regola non sarebbe mai quella perfetta. Nessuno di noi è solo una cosa e non esiste una definizione che possa andare bene sia per me che per te. A dire il vero, esiste un’etichetta in cui mi sento perfettamente a mio agio ed è proprio l’essere me stessa, perché è fatta su misura per me, racchiude tutto ciò che sono ed è pronta ad accogliere ciò che sarò.

Conobbi Flavia e mi innamorai per la prima volta di una ragazza con gusti sessuali simili ai miei: una persona affascinante con un profondo senso di intimità. Passavamo le notti a parlare tramite chat, e il suo nickname era “darkshine”, come la canzone dei Muse. Attraversavamo la notte insieme. Avevo finalmente deciso di non prestare più attenzione a ciò che la gente pensava di me. L’avevo fatto per troppo tempo e non volevo più vivere in quel modo.

Io di allora: “Ti ho pensato tutto il giorno ieri, stanotte e oggi.”
Flavia: “E cosa hai pensato?”
Io di allora: “Che mi interessi più di qualsiasi altra cosa da molto tempo. Ci sono stati momenti difficili che mi stavano portando nel buio.”
Flavia: “Mi dispiace, ho bruciato la mia camera da letto e non ricordo nulla. Ma dimmi a cosa ti riferisci.”
Io di adesso: “Non parlarle della tua malattia, stai zitta.”
Io di allora: “Io sono bipolare.”
Io di adesso: “La tua vita è rovinata, lei non lo accetterà mai.”
Flavia: “Come sono i tuoi genitori? Hai fratelli e sorelle? Come hai conosciuto questa chat? Chi sono i tuoi amici? In cosa credi? Che partito voti?”
Io di allora: “Voglio sapere tutto di te.”
Io di adesso: “Non metterle fretta.”

Conoscevo il suo corpo a memoria, avevo completamente perso i sensi. Nonostante il nostro amore fosse stato fugace, non solo a causa della distanza, la questione riemergeva da sola, come un singhiozzo incessante. Troppe emozioni che non trovavano una spiegazione logica.

Io di allora: “Tu non mi hai mai detto ‘ti amo’, ma io ti amo per entrambe.”
Flavia: “Tu fai rumore nella mia testa.”

Il nostro rapporto era il percorso d’uscita da quell’adolescenza di cui i dottori mi avevano parlato. Lei aveva occupato tutto lo spazio, nonostante i miei sforzi di cercare altrove, di riempire la mente con altre immagini. Quando mi lasciò, persino l’aria che respiravo sembrava maligna. Non riuscivo a credere che stesse succedendo proprio a me. Tremavo come la sera prima di avere l’influenza. La mia mente era una riserva di gioia, ma ero pervasa da un vuoto profondo.

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