Onde di Rabbia – Capitolo 2: Le Fonti del Discontento

Le utime dal diario

La lella
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Lella fin da piccola, ho sempre seguito questo motto: "sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo". Credo che la sessualità e l’identità siano elementi soggettivi, tanto che qualsiasi regola non sarebbe mai quella perfetta. Nessuno di noi è solo una cosa e non esiste una definizione che possa andare bene sia per me che per te. A dire il vero, esiste un’etichetta in cui mi sento perfettamente a mio agio ed è proprio l’essere me stessa, perché è fatta su misura per me, racchiude tutto ciò che sono ed è pronta ad accogliere ciò che sarò.

Dopo un periodo di pausa, riprendo il mio esercizio iniziato a fine agosto, dedicandomi nuovamente a esprimere ciò che mi suscita rabbia quotidianamente. Questo rituale consiste nel redigere ogni giorno, a un preciso orario, le fonti di frustrazione che si accumulano nella mia vita.

Purtroppo, ho dovuto interrompere questa pratica a causa di altri eventi sfortunati che hanno nuovamente segnato la mia esistenza. Come se la mia vita intera fosse un ininterrotto susseguirsi di tragedie, una continua drammaticità senza fine.

Sto lavorando duramente affinché le cose migliorino e questo costante senso di ingiustizia scompaia, non tanto per gli altri quanto per me stessa. Merito un po’ di tranquillità e serenità, e questo è il mio obiettivo.


Il tutto ha avuto inizio tre settimane fa, subito dopo l’inizio di questo esercizio, in un periodo in cui ho dovuto affrontare una decisione difficile.

Il venerdì 2 settembre 2022, secondo i miei calcoli, ho portato il mio cane più anziano dal veterinario per un controllo al suo occhio destro. Avevo notato un’escrescenza sospetta e, purtroppo, era stato confermato essere un tumore benigno. Non grave, ma la decisione di agire o meno doveva essere presa in base all’evoluzione. Un fatto positivo era che avevo potuto incontrare la mia veterinaria preferita, anche lei italiana. Ma questo è un capitolo a parte.

La tragedia ebbe inizio da quella domenica, quando notai che il cane non riusciva ad alzarsi né a mangiare. Era stanca e affaticata.

Sebbene avesse quattordici anni, un’età significativa per un incrocio di pastore tedesco e husky, non siamo mai pronti a lasciare i nostri “bimbi”. Egoisticamente, ho sperato in un miracolo fino al giorno successivo, nonostante venerdì trotterellasse felicemente nell’erba. Non pensavo si spegnesse letteralmente in due giorni.

Lunedì mattina, consapevole di dover porre fine alle sue sofferenze, l’ho portata dal veterinario. Questa volta, di fronte a una veterinaria più anziana, il suo volto e quello delle segretarie non lasciavano presagire nulla di buono. Tuttavia, la situazione era già critica, considerando che avevo dovuto trascinare il cane fino all’ambulatorio, con il suo cuscino intero. Finalmente, la notizia indesiderata: stava morendo, e nulla poteva essere fatto per salvarla. Una possibile causa, un tumore alla colonna vertebrale. La veterinaria suggerì che ulteriori analisi non avrebbero cambiato la situazione, date l’età e le condizioni attuali.

Mi fu offerta la possibilità di guadagnare tempo con una perfusione, ma la decisione era chiara. Ho scelto di lasciarla andare con dignità, riportandola a casa per seppellirla vicino al mio amato gatto, coprendola di arbusti bianchi. Era beige, ma soprattutto era dolce come la crema.

Nonostante il dolore, ho dovuto affrontare l’ira di Inès, la mia ex compagna, che mi rimproverava di aver preso una decisione senza chiamarla, senza la sua presenza. La rabbia cresceva in me, ma la mia scelta era dettata dal bene del cane, stanco e malato.

Inès, che aveva trascurato il cane dopo la nostra separazione, pretendeva di essere coinvolta nelle decisioni cruciali. Le ho spiegato che la priorità era alleviare il dolore del nostro animale, e le sue urla e rimproveri sono stati solo un peso aggiuntivo in un momento già difficile.

A dispetto di tutto, questo evento mi ha liberato dall’ultimo legame che avevo con Inès. Ora posso finalmente voltare pagina, lontana da quella che rappresentava l’ultima “cosa” in comune, l’ultimo pretesto per la sua interferenza nella mia vita.

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